LO SQUALODON BELLUNENSIS

Oggi,a distanza di qualche mese, ci riagganciamo al mondo dei cetacei, più in particolare ai cetacei fossili ritrovati a inizio del secolo scorso nelle cave di Bolzano, Tisoi e Libàno bellunese. Se vi ricordate, dietro a quei reperti c’è una storia molto importante e alcune specie di animali scoperte, sono addirittura tipiche del giacimento bellunese. I vari crani fossili studiati hanno tutti conformazioni particolari che indicano un’elevata specializzazione all’ambiente in cui vivevano, alcuni avevano rostri più lunghi e fini, altri li avevano più corti e robusti con le forme dei denti che variavano molto da specie a specie. Dovete fare uno sforzo di immaginazione e pensare che circa 20 milioni di anni fa il bellunese era una zona marina in prossimità di una linea di costa situata più a nord, il clima era di tipo sub tropicale e nelle acque vivevano diversi tipi di pesci, squali e appunto cetacei; tutti questi animali occupavano una particolare zona nel mare che ne influenzava il comportamento e ovviamente c’era una gerarchia tra prede e predatori. La scorsa volta avevamo preso in esame i resti del Cyrtodelphis sulcatus (vedi qui ), un delfinoide dal rostro molto lungo, oggi invece parleremo dello Squalodon bellunensis, un animale così particolare da far sembrare molto strana la sua presenza nelle nostre zone, 20 milioni di anni fa. Innanzi tutto bisogna dire che al giorno d’oggi non ci sono rappresentanti viventi della famiglia degli Squalodontidi, si tratta dunque di un ramo evolutivo completamente estinto, il nome squalodonte deriva dal fatto che l’animale possedeva dei denti simili a quelli degli squali. Questa famiglia era presente in tutte le acque del globo nel primo Miocene, erano dei forti predatori e se si osserva un loro cranio (ad esempio al museo di Geologia e Paleontologia di Padova, palazzo Cavalli) si resta impressionati dalla spaventosa dentatura che avevano, sembra quasi di trovarsi di fronte ad un cranio di qualche specie di coccodrillo, non di un cetaceo! I denti frontali assomigliano a grossi e aguzzi aghi che sporgono obliqui dall’osso mandibolare, mentre quelli laterali sembrano appunto dei denti triangolari di squalo, con la differenza che quelli degli squalodontidi possono suddividersi in ulteriori “dentini” detti cuspidi o tubercoli e hanno la radice che penetra nell’osso ( come tutti i mammiferi). Alcuni crani ritrovati, arrivano quasi al metro di lunghezza, si può ben capire allora come potessero raggiungere una stazza critica tale da  mettere in seria difficoltà anche grossi predatori come gli squali (anch’essi abbondati nelle nostre zone).

squalodon bellunensis
cranio di Squalodon bellunensis, su concessione dell’Università degli Studi di Padova

Le prime scoperte nel bellunese

Gli strati dell’arenaria di Libàno, iniziarono ad attirare l’interesse degli studiosi già dall’Ottocento. Nel 1847, nella sezione geologica del IX congresso degli scienziati italiani, tenutosi a Venezia, il Catullo comunicava come il dott. Paolo Segato avesse raccolto nell’arenaria di Libàno, numerosi cascami (resti) di un coccodrillo, che poi si rivelarono essere proprio fossili di Squalodon. Nel 1874 il conte Carlo Avogadro degli Azzoni, raccolse un blocco di pietra dal quale poi De Zigno, grazie a un meticoloso lavoro, ne estrasse la parte mediana con numerosi denti, di un altro cranio di Squalodon. Ancora, il prof. G. Dal Piaz, potè completare gli studi di quello che aveva raccolto grazie agli acquisti fatti dall’Università di Padova, di alcuni blocchi fossiliferi provenienti dalle cave, oltre che esaminando resti di squalodontidi posseduti da altre persone, tra queste dobbiamo citare il prof. Pellegrini, il prof. Longhi e il conte Rizzolino Avogadro degli Azzoni. A onor di cronaca bisogna dire che nel maggio del 1897, in uno degli scavi praticati nelle cave di mole, furono riportate a giorno molte ossa su un unico blocco, così da dare il sospetto che si trattasse di uno scheletro completo di un unico individuo, disgraziatamente però lo stesso blocco venne danneggiato dalle operazioni di estrazione, così che rimasero solamente parti del cranio e qualche altro resto.

La descrizione di alcuni resti

Prima di addentrarci nella descrizione particolareggiata dei reperti, è bene descrivere a grandi linee, le caratteristiche principali di un cranio di squalodonte. Ad una prima osservazione il cranio di questi cetacei sembra più “robusto” di quelli appartenenti ad altri generi, come ad esempio il Cyrtodelphis. Le ossa mascellari appaiono più spesse, anche perchè devono far da supporto a grossi denti con altrettante grosse radici e la parte di rostro verso il cranio è in genere più larga. Un’altra caratteristica che salta subito all’occhio è data dalla posizione “rilevata” che assumono le ossa nasali e il notevole sviluppo delle ossa sopraorbitali. Come abbiamo detto ancora, di un unico genere possono esistere diverse specie, è questo il caso del genere Squalodon. Nei giacimenti Bellunesi sono state individuate la specie bariensis e la varietà  bellunensis,  quest’ultima presenta una certa somiglianza con la prima specie e dunque ha creato in dal Piaz alcuni dubbi di attribuzione. Ora, basandoci su una pubblicazione dell’autore, descriveremo una parte di cranio e un frammento di mandibola riferibili proprio alla varietà bellunensis.

Cranio: Questo è tronco sia dal lato posteriore che anteriore, lungo complessivamente 580 mm., la larghezza può essere presa con esattezza  solamente tra le facce esterne dei due ultimi molari ( 107 mm.). Sono presenti le ossa mascellari che portano diversi denti molari, le intermascellari (più o meno incomplete), parte delle palatine e pochi frammenti delle frontali. Il cranio ha un’evidente asimmetria e dei denti sono presenti solamente i molari, anch’essi in parte mancanti.

Primo molare: è ridotto alla radice e a una piccolissima parte di corona

Secondo molare: manca della parte superiore, la sua corona è percorsa da fini striature ed è larga 19 mm., ornata alla base dell’orlo posteriore di due o tre piccolissimi dentelli e con radice divisa.

Terzo molare: è mancante da tutti e due i lati

Quarto molare: è leggermente rivolto all’indietro e la sua corona è di forma triangolare, alla base è larga 23 mm. ed è alta circa 17, fortemente consumata lungo l’orlo anteriore e all’apice. Percorsa da fini striature longitudinali e munita di piccole granulazioni sia nella faccia esterna e interna, lungo l’orlo posteriore sono presenti tre tubercoli all’ultimo dei quali segue una piccola propaggine frastagliata.

Quinto molare: La corona è larga 24 mm. alla base e alta 16. Le due facce di questo molare e tutte le conseguenti sono munite di granulazioni, l’orlo anteriore ha un piccolo tubercolo alla base e quello posteriore è occupato quasi tutto da tre tubercoli e da uno più piccolo alla base.

Sesto molare: Corona rivolta all’indietro più della precedente, larga alla base 24 mm. e alta quasi 16. L’orlo posteriore è intatto e presenta un piccolo tubercolo presso l’apice, tre più rilevanti sotto e una leggera frastagliatura alla base composta di piccolissimi dentelli. La radice è divisa a circa 14 mm. dalla base della corona.

Settimo molare: Più piccolo e più depresso dei precedenti e più rivolto all’indietro. Qui la corona è perfettamente conservata, alta 14 mm. e larga 22. L’orlo anteriore ha due tubercoli maggiori e qualche altro più piccolo, quello posteriore ha un piccolo tubercolo verso l’apice seguito da due più grandi e da una breve frastagliatura alla base.

Nel lato sinistro si contano altri tre denti: il quinto, il sesto e il settimo molare.IMG_2349

Mandibola: E’ un frammento della branca destra lungo 260 mm., alto anteriormente 41 mm. e posteriormente circa 49. Sono presenti il quarto e il quinto molare e parte della radice del secondo, del terzo e del sesto.

Questo esemplare rispetto al bariensis è alquanto più snello, ha un palato più rigonfio, mascellari (dopo l’ultimo molare) più sottili e meno angolosi, denti meno grossi con tubercoli anteriori più pronunciati e con radice divaricata dal basso all’alto. Tutte queste caratteristiche portarono dal Piaz ad affermare appunto che questo esemplare sia una varietà che lo distingue dall’olotipo di Bari. a tal proposito riporto un estratto della studio: ” Questi caratteri uniti ai pochi e di valore sempre relativo che riguardano la conformazione del cranio, sono ben lungi dall’avere valore specifico che noi riscontriamo ad esempio  fra lo Squalodon grateloupii e il bariensis, o fra questi e l’ehrlichii e non dobbiamo per questo dare ad essi eccessiva importanza. Ciò non per tanto queste particolarità non possono sfuggire certo all’osservazione, anzi esse a mio avviso, sono sufficienti per autorizzarci a stabilire una varietà, che distingua la forma in esame da quella fondamentale di Bari, augurandoci intanto che nuovi rinvenimenti ci forniscano in avvenire il mezzo di completare queste prime ricerche”.

 

Bibliografia:

DAL PIAZ G., Sopra alcuni resti di Squalodon dell’arenaria miocenica di Belluno, estratto dalla: PALEONTOGRAPHIA ITALICA, memorie di paleontologia pubblicate per cura del prof. Mario Canavari, Museo Geologico della R. Università di Pisa, volume VI, pag. 303-314 [1-12], tav. XXVI-XXIX [I-IV] e fig. 1 intere.

foto a colori del cranio di Squalodon bellunensis, per gentile concessione dell’Università degli Studi di Padova.

AUTHOR:

Vittore PerenzinVITTORE PERENZIN:Geologo, appassionato di fossili e minerali.

Pubblicato da Vittore Perenzin

Geologo e appassionato di fossili e minerali.